Alcuni titoli ricorrono spesso nei quotidiani di questi ultimi anni: "Un bel paesaggio all'orizzonte". "Il paesaggio non è un quadro". "Il paesaggio aggredito". "Via i cartelloni che deturpano il paesaggio". "Paesaggio deturpato: l'Enel pronta a levare i tralicci"1 . Il paesaggio appare dunque uno dei temi che attrae maggiormente l'attenzione. Ma da quale punto di vista? Gli stessi titoli parrebbero presupporre una visione estetica del paesaggio. Tuttavia vi sono argomenti che qua e là ci mettono in guardia da un'interpretazione puramente estetica: la considerazione della natura come veduta o scenario incoraggerebbe il distacco dalla natura stessa; guardare alla natura come a un panorama significherebbe dimenticare che la natura è innanzitutto un ambiente nel quale siamo immersi e viviamo. Proprio il termine panorama, tanto diffuso nel linguaggio comune, indica originariamente una rappresentazione della natura, un'immagine di essa. Ed è proprio questo passaggio, per cui l'immagine soppianta la natura, la sostituisce, si pone al suo posto e impedisce un rapporto reale con la cosa rappresentata, il limite originario di tante concezioni del guardare al paesaggio. Per marcare l'irriducibilità del paesaggio in senso estetico alla mera veduta e al panorama, Paolo D'Angelo propone di considerare il paesaggio come identità estetica dei luoghi. La definizione in termini di identità estetica lega immediatamente il valore del paesaggio alla individualità dei singoli luoghi. All'identità estetica del paesaggio appartengono sempre, costitutivamente, la natura e la storia, e ognuna in nesso inseparabile con l'altra. In questa direzione sembra muoversi il lavoro di Giorgia Beltrami che rifiuta l'interpretazione pittorica del paesaggio che fino a ora ha condizionato, lungo le varie epoche, la rappresentazione artistica per restituire una identità estetica dei luoghi come frutto dell'interazione tra i fattori della natura, della storia e della cultura. L'artista fotografa, ricompone e disegna su carta e tavola il paesaggio della pianura emiliana, continuamente soffocato da aberrazioni e anomalie, come processo espressivo che consente di portare alla luce i caratteri identificativi di un luogo. Il procedimento compositivo di Giorgia Beltrami si attua lungo diverse fasi progettuali, dall'organizzazione dell'immagine alla costruzione prospettica dell'impianto, dalla riproposizione grafica delle forme al forte contrasto tra il bianco e nero fotografico. Nella serie Orizzonti il rifiuto dei mezzi toni, i contrasti nettissimi con il bianco che incide profondamente il nero, le linee e le bande geometriche rosse che si incrociano nello spazio definendo un'alternanza tra piani orizzontali e verticali sono, un riferimento velato da un lato alla fotografia manipolata ed espressionista di fotografi come Mario Giacomelli e Nino Migliori, dall'altro alla civiltà neo-plastica e formalista di Mondrian e Theo Van Doesburg. La presenza di un cielo bianco e nitido, che spesso campisce i tre quarti della tela, lo sviluppo di un orizzonte basso e lontano a cui ricondurre la fuga dell'occhio, il ricorso a più linee di forza o punti focali sono funzionali alla creazione di immagini complesse e calcolate, che obbediscono alle norme del disegno architettonico più che ai parametri della mimesi pittorica. La stessa scomposizione della scena in sequenze fotografiche, ricostruite poi sulla tela tramite progressivi montaggi formali, è evidenziata dalle linee bianche di interruzione che denunciano la finzione di un paesaggio simulato, riprodotto dall'artista a fini espressivi. La contemplazione puramente estetica del paesaggio emiliano si complica per l'inserimento di segni e linee distintive, poichè la visione formale viene messa in secondo piano rispetto alle esigenze del contenuto che prende forma attraverso elementi geometrici, come i tralicci, le gru, i lampioni, i cartelloni pubblicitari, segni di una modernità mai completamente integrata nel contesto della natura e della vita dei suoi abitanti. Segnali in rosso che disturbano la proiezione in bianco e nero del paesaggio, presenze rosse che impediscono una lettura semplificata dell'immagine, e annunciano motivi di criticità nel pensiero dell'artista. È in questo passaggio fondamentale che il discorso lineare di Giorgia Beltrami subisce un corto circuito, alla ricerca di nuove contrapposizioni formali e visive che rendano esplicite le motivazioni ideali che le urgono dal di dentro. Il rosso dell'aberrazione, racchiuso nei limiti di questi segnali rivelatori, esplode e si espande alla totalità della superficie pittorica, attraverso un progressivo close up sulla trama della natura, proposta come unica e possibile soluzione per percepire l'identità estetica dei luoghi. Le elaborate texture della serie Respiri propongono una descrizione molto più ravvicinata e fisica della natura, un fitto groviglio di linee più spesse e sottili tracciati definiti sulla sintesi cromatica del bianco/rosso. Una rappresentazione grafica e bidimensionale del mondo vegetale, dalle ramificazioni intricate dei fusti in superficie all'espansione tentacolare delle radici nel sottosuolo, che richiama l'attività segreta e nascosta degli alberi, polmone della terra nella produzione di linfa vitale e di ossigeno. Ma allo stesso tempo i Respiri potrebbero essere interpretati come la visualizzazione al microscopio di una sezione di tessuto muscolare, nella rete invisibile di vasi sanguini, vene e capillari che fanno affluire sangue dal cuore al restante organismo. Anche in questo caso un richiamo al pulsare della vita e al rifornimento di ossigeno all'interno del flusso sanguigno che permette l'esistenza dell'individuo. L'indagine dei sentieri biologici di uomo e natura sembrerebbe dunque una valida alternativa a cui appellarsi per restituire identità estetica ai luoghi, perchè la riflessione sul paesaggio non può esplicarsi unicamente come rappresentazione, ma deve anche avere una forte componente progettuale ed esistenziale. È un nuovo atteggiamento, ideologico e operativo, che utilizza Giorgia Beltrami, dove l'attenzione minuziosa, l'accuratezza tecnica al dettaglio e la pre-visualizzazione dell'immagine attraverso sequenze insinua la possibilità di una interpretazione soggettiva. Il paesaggio non è e non può essere considerato unicamente come contesto statico e passivo, perchè un paesaggio, per essere veramente tale, deve essere un paesaggio vivo, che evolve con la storia e con la vita dei suoi abitanti. Pertanto il soggetto del paesaggio, nella visione dell'artista, non può essere utilizzato come documentazione della realtà, ma come una della molteplici soluzioni per comunicare senso e identità. Affermava Mario Giacomelli: "Io non ritraggo il paesaggio, ma i segni, le memorie dell'esistenza di un 'mio' paesaggio".